Il 25 Novembre 2005, esattamente sette anni fa, si spegneva George Best, uno dei migliori calciatori che la storia ricordi, da tempo alcolista, sul letto di un ospedale con un fegato (il secondo, dopo aver subìto un trapianto) spappolato dall’alcool che implorava pietà. Il colorito giallo, pallido, la faccia smunta, i solchi che la cirrosi in continuo avanzamento aveva scavato nel viso del Quinto Beatle.
Nel fisico, non nell’animo. George è sempre stato un ribelle, forse anche in punto di morte: perché, se è vero che la stampa ha fatto trapelare che George abbia detto “Non morite come me”, altre fonti sostengono che in realtà egli non si sia mai pentito di tutto ciò che ha fatto.
Non sta a noi giudicare cosa sia vero o falso, giusto o sbagliato, d’altronde la questione perde quasi tutta la sua importanza di fronte alle gesta del campione. Ma andiamo per gradi.
George nasce il 22 Maggio del 1946 a Cregagh, un piccolo quartiere nel sud-est di Belfast e passa l’infanzia a sognare la maglia del Wolverhampton Wanderers, squadra che riusciva a seguire grazie al suo vicino di casa, uno dei pochi nella zona a possedere un televisore. E il resto? Il resto della sua vita era già legato al calcio, perché fin da piccolissimo “non importava che tipo di palla fosse: di plastica, da tennis, bastava che potessi prenderla a calci”.
Passa poco tempo e il suo nome è già nel taccuino di Bob Bishop, osservatore del Manchester United. Telegramma che arriva dritto in sede del leggendario allenatore Matt Busby: “Matt, credo di aver trovato un genio”.
Debutta nel 1963, a 16 anni e in pochi anni conquista una maglia da titolare, per poi diventare il vero e proprio genio del Manchester United . Grazie ad un organico di assoluta caratura, con Charlton e Law accanto all’astro nascente nordirlandese, lo United nel 1966 sfodererà una delle prestazioni migliori di tutti i tempi per una squadra inglese, vincendo per 1-5 sul campo del fortissimo Benfica di Eusebio.
Best gioca, ispira e segna due reti, una davvero pregevole partendo dalla metà campo avversaria e scartando due difensori. E’ l’inizio del mito: il sombrero all’aereoporto, i giornali che lo ribattezzano “El quinto Beatle”, migliaia di ragazzine impazzite, la gente che vuol sapere i suoi gusti musicali, i suoi libri preferiti; è l’inizio della leggenda della maglia numero 7 che sarà successivamente indossata da altri campioni del Manchester United.
Era diventato in pochissimo tempo il primo calciatore ad essere una popstar. Lo chiamano il Quinto Beatle proprio perché, oltre ai capelli lunghi e ai basettoni, contemporaneamente, a Liverpool, quattro giovani capelloni stavano rivoluzionando il mondo della musica, allo stesso modo di come Best sta rivoluzionando il mondo del calcio.
Un calcio che non si era mai visto prima, tanto che lo stesso Pelè, nel 1966, arriverà a dire “George Best è il più forte giocatore del mondo”. Nonostante la fama, Best rimane un professionista esemplare, anche se donne ed alcool iniziano a ritagliarsi un’ampia fetta del suo tempo libero. Nel periodo dei grandi rivolte giovanili, George Best è l’icona calcistica che incarna la parte più ribelle. Adesso Best è famoso e conta poco il suo accento strano di Belfast che lo imbarazzava al cospetto delle sofisticate città inglesi, perché, dopo la partita di Lisbona, sono le donne ad arrivare a frotte e lui deve solo scegliere. I giornali riveleranno nel tempo i suoi numerosi flirt con reginette di bellezza e Miss Mondo.
“Ho amato duemila donne senza doverle sedurre. Mi bastava dire “Sono Best del Manchester United.”
Con lo United vince il campionato nel 1965 e nel 1967 anche se la sua stagione migliore è quella del 1968, dove segna 28 gol e sforna 11 assist, trascinando il Manchester alla vittoria della prima Champions League della sua storia e vincendo il Pallone D’Oro.
Sembra il preludio di una sfolgorante carriera ma in realtà è l’inizio del baratro. All’alba degli anni 70, lo United non riuscirà più a confermarsi ai livelli dell’anno precedente; inizia il declino inesorabile della squadra e dello stesso George che comincia il suo lungo percorso di depressione per i risultati della squadra e, di conseguenza, si dedicherà quasi completamente all’alcool e alle donne, cominciando a saltare gli allenamenti.
“ Quando il calcio era importante e io giocavo bene, non vedevo l’ora di alzarmi la mattina: era la mia unica ragione di vita. Quando il gioco non è bastato più a buttarmi giù dal letto, non ho visto altri motivi validi per smettere di bere.”
Ma il talento è ancora cristallino: Best, al suo primo match al ritorno dopo la squalifica, dimostrerà ancora sprazzi di grande calcio; Schianta da solo il Northampton in FA Cup, siglando sei reti e instaurando il record di maggior numero di goal segnati in una partita di FA Cup (record tuttora imbattuto).
Ma non basta. Dopo l’ennesima lite con l’allenatore Tommy Docherty, prende la decisione, molto sofferta, di lasciare il Manchester United. Aveva solo 27 anni. Seguono partite “a gettone” in competizioni minori, fino all’approdo alla Liga Americana e una breve parentesi al Fulham dove riesce spesso ancora a giocare ad alti livelli e ad attirare (e incantare) migliaia di spettatori sugli spalti, giunti per vederlo.
Il calcio, però, ormai rappresenta solamente una parte della sua vita, l’alcool e le donne lo hanno sostituito. Le notti alcoliche si fanno sempre più frequenti, e non sempre George riesce a farla franca. Durante la sua parentesi al Fulham, fu protagonista del peggior incidente automobilistico della sua vita: dopo una delle sue serate a base di alcol, si schianta contro un palo, ricevendo 57 punti attorno agli occhi. Nel 1978 George deve affrontare uno dei periodi più bui della sua vita: l’amata madre Ann muore per alcolismo, episodio che lo trascinerà ancora più a fondo.
Si sposa con Angela MacDonald-Janes, ma neanche un matrimonio e la nascita di un figlio, Calum, riusciranno a farlo smettere di bere.
“L’arrivo di Calum provò un dato di fatto: l’alcool era diventato la cosa più importante della mia vita. Più importante di mia moglie e persino di un figlio appena nato. Mi sentivo in colpa per il fatto di non riuscire a smettere di bere nemmeno per lui e probabilmente bevevo ancor di più proprio a causa del senso di colpa.”
Appese le scarpe al chiodo, il processo di autodistruzione è ormai inarrestabile, il caos della vita dell’ormai ex Quinto Beatles lo porterà ad un arresto per non essersi presentato ad un’udienza per essere stato fermato in stato di ebbrezza, con l’aggravante di aggressione a pubblico ufficiale (George, dopo essere stato provocato, prenderà a testate un agente).
Dopo moltissime relazioni fallite, George sembra trovare stabilità sentimentale con Alex Pursey, trent’anni più giovane di lui, che sposerà nel 1995. Tuttavia non riesce a smettere di bere, tranne che per un breve periodo, dopo innumerevoli tentativi. Le sue restano solo delle buone intenzioni, Alex lo caccerà di casa, e il letto di Best è spesso una panchina del parco e le notizie sul suo conto si fecero sempre più confuse.
L’ultima partita, quella con l’alcool, non è riuscita a risolverla con una delle sue giocate. George muore il 25 Novembre 2005 per un’infezione ai polmoni, dopo essere stato su un letto d’ospedale altre volte per vari ricoveri e un successivo trapianto di fegato nel 2002, fegato che distrusse ugualmente.
I funerali vennero celebrati a Belfast, nella sua Irlanda del Nord, accompagnato da mezzo milione di persone e dal suono delle cornamuse, il suo corpo riposa accanto a quello della madre.
“L’alcol era l’unico avversario che non ero riuscito a battere, anche se avevo provato con gli Alcolisti anonimi, con l’astinenza e un paio di volte addirittura mi ero fatto cucire delle capsule di Antabuse nello stomaco: durano tre mesi e ti fanno stare malissimo se provi anche solo ad assaggiare un sorso di bumba. Nemmmeno così ero riuscito a smettere.”
«George Best fu semplicemente uno dei più grandi talenti calcistici di tutti i tempi e anche il più grande contenitore della spazzatura in cui buttare dentro di tutto: la vita, insieme a ettolitri d’alcol, un fegato spappolato e poi uno sano trapiantato (fuori uso dopo solo pochi anni di durissimo lavoro), i ricordi, gli affetti e la dignità. (Europeo, 2008)»
Ma, come ha detto egli stesso, quando George Best se ne sarà andato, la gente dimenticherà la spazzatura e ricorderà il calcio.
“Se una sola persona pensa che io sia il miglior giocatore del mondo, per me è abbastanza.”
Alziamo le pinte in questo giorno triste e ricordiamo uno dei più grandi calciatori che la storia ricordi.
Thanks for the memories, George!
Placido Sciortino