Louis van Gaal è certamente una delle figure più controverse del panorama calcistico, uno degli allenatori più vincenti, ma anche uno dei più discussi. Ma per farsi un’idea precisa di chi sia il tecnico olandese non basta guardare il suo palmarès o l’andamento di una partita o di una singola stagione. Bisogna partire da lontano, dalle origini, e analizzare ogni aspetto della sua carriera…
Pochi allenatori hanno diviso media e tifosi come van Gaal. Ci sono giocatori, da lui allenati in passato o tutt’ora sotto i suoi ordini, che nutrono grande rispetto per lui e a cui attribuiscono parte del merito dei propri successi – come Xavi, Andrés Iniesta, Bastian Schweinsteiger, Edwin van der Sar, Thomas Müller, Clarence Seedorf, giusto per citarne alcuni fra i più famosi – e altri che, invece, non hanno risparmiato all’ex CT olandese critiche aspre o che sono addirittura arrivati a sostenere che il suo modo di allenare, molto rigido e (forse) fin troppo fedele ai propri schemi, e di gestire una squadra abbia limitato le proprie prestazioni – come Dennis Bergkamp, Rivaldo e Hristo Stoichkov.
La critica, forse, più pesante ricevuta da van Gaal è stata quella che fatta da Johan Cruijff tanti anni fa, dopo il suo addio all’Ajax nel 1997:
Personalmente, per il mio modo di intendere il calcio, penso che allenare i giocatori come fa lui significhi prepararli per una vita in un ufficio, non su un campo di calcio.
Uno degli aspetti certamente più discutibili dell’allenatore olandese è proprio quello dei rapporti umani con parte dei suoi giocatori e non c’è bisogno di andare molto lontano per trovare qualche esempio: basti pensare alla vicenda di Robin van Persie, suo connazionale e capitano dell’Olanda da lui allenata e guidata ad un passo dalla finale nella Coppa del Mondo del 2014, scaricato la scorsa estate al Fenerbahçe per una cifra irrisoria, nonostante un parco attaccanti, quello del Manchester United, non fornitissimo e nonostante la volontà del giocatore di restare e di ri-guadagnarsi un posto da titolare perso, presumibilmente, per qualche prestazione non degna della sua fama a metà della scorsa stagione (dove l’olandese era comunque il capocannoniere della squadra, con 10 goal, nonostante pochi palloni giocabili per lui e per i suoi compagni di reparto).
Anche la gestione del caso Víctor Valdés non è stata propriamente esemplare. L’attacco all’ex portiere del Barcelona in conferenza stampa, seguito anche dall’esclusione dalle sessioni di allenamento della prima squadra e, addirittura, anche dalla revoca del proprio armadietto negli spogliatoi, reo – secondo van Gaal – di essersi rifiutato di giocare alcune partite con la selezione Under-21 nella passata stagione, è parsa piuttosto discutibile, per non dire imbarazzante.
Bisogna dar atto al tecnico olandese, però, che il suo modo di allenare e di gestire lo spogliatoio, unito ai tanti successi raccolti in carriera, gli ha permesso di acquisire agli occhi di molti addetti ai lavori, e non solo, una figura da leader vincente e da uomo carismatico, capace di trarre il meglio dai propri giocatori adattandoli nel modo migliore ai propri schemi – come accaduto nel caso di Schweinsteiger, trasformatosi in centrocampista centrale proprio grazie a van Gaal – e di trasmettere alle proprie squadre anche una forte mentalità e la consapevolezza di potersela giocare, in un modo o nell’altro, fino all’ultimo minuto. Fino all’ultimo pallone giocabile. Cosa accaduta non di rado anche allo United. E non può di certo essere un caso che due dei più grandi allenatori dell’epoca moderna, vale a dire José Mourinho e Pep Guardiola, pur acquisendo ciascuno aspetti diversi dall’olandese (il tecnico del Chelsea ricorda van Gaal più per l’aspetto mentale e per il modo di rapportarsi con la stampa, mentre quello del Bayern lo ricorda principalmente per l’ordine tattico e l’abitudine a cambiare ruolo a diversi suoi giocatori), abbiano lavorato insieme a lui. E anche lo stesso Luis Enrique, attuale allenatore del Barcelona campione d’Europa, di Spagna e vincitore della Copa del Rey, sembra abbia tratto (almeno in parte) ispirazione da LvG.
Fra i sostenitori del tecnico olandese, come ho scritto già in precedenza, c’è uno dei giocatori che più ha inciso sulla storia recente del calcio e che proprio van Gaal ha fatto esordire nel suo primo anno da allenatore del Barcelona: il grande Xavi. In una recente intervista, l’ex Blaugrana ha elogiato i duri, ma spesso efficaci, metodi di allenamento di van Gaal, fornendo una descrizione piuttosto esauriente per farsi un’idea ancora più precisa del modo di rapportarsi dell’olandese con i propri giocatori:
Era molto diretto: un giorno mi umiliava davanti al gruppo e il giorno dopo mi diceva che ero come [Zinedine] Zidane. E questo, nel lungo periodo, ha un effetto positivo. Sotto la sua guida sono passato da giocare all’Old Trafford a ritrovarmi ad affrontare l’Alcoyano, in terza divisione, con il Barcelona B. Anche questo, però, è un modo di lavorare positivo: così, quando torna in prima squadra, un ragazzo di 18 anni è più affamato di tutti gli altri per ritrovare il posto.
Un allenatore che, con il passare degli anni, non ha mai variato il suo modo di rapportarsi con i giocatori, senza farsi mai troppi problemi a tagliare fuori gli elementi da lui ritenuti non idonei al suo progetto. Anche se, come nel caso di Darren Fletcher e di Rio Ferdinand, si trattava di figure di un certo peso nello spogliatoio e nella storia del club in questione. Un tecnico e un uomo che non guarda in faccia a nessuno. Caratteristica che, per quanto possa presentare dei tratti poco condivisibili, lo ha certamente aiutato a costruire squadre di successo, unite e capaci di non lasciarsi influenzare da fattori esterni.
Ma la filosofia e il gioco di van Gaal, se ben si sposavano con il Bayern München e (in parte) con l’Ajax, non erano molto amati al Barcelona, dove – nonostante la vittoria di due campionati e di una Copa del Rey – spesso è stato fischiato dai propri tifosi, come accaduto in alcune circostanze anche qui al Manchester United. Ma il modo di giocare delle squadre di van Gaal è cambiato molto con il passare degli anni, adattandosi ad un calcio in continua evoluzione. Adesso, analizzeremo il cambiamento nel modo di giocare delle squadre van Gaal nel corso degli anni.
Nel 1991, dopo aver già trascorso tre anni da vice-allenatore, assume l’incarico di allenatore dell’Ajax e guida il club olandese ad una lenta rinascita, lanciando giovani di talento destinati a diventare delle stelle del calcio olandese e internazionale – come il nostro caro Edwin van der Sar, i fratelli de Boer, Clarence Seedorf, Edgar Davids e altri campioni “prodotti” da van Gaal.
Dopo aver conquistato la UEFA Cup nel 1992, la KNVB Beker (la coppa nazionale olandese) nel 1993 e il campionato nel 1994, l’Ajax di van Gaal raggiunge l’apice nella stagione 1994/1995: dove vince il campionato da imbattuto e la UEFA Champions League, battendo nella finale di Vienna il Milan di Fabio Capello, dopo aver superato in precedenza il Bayern München di Giovanni Trapattoni con una netta vittoria in semifinale. Ed è da questa squadra che nasce il mito di Louis van Gaal.
Quell’Ajax ricordava il famoso “calcio totale olandese” di Rinus Michel, ma con alcune differenze. Quello di van Gaal era un 4-3-3 leggermente diverso da quello praticato da Michel, poiché, a differenza dell’Ajax e dell’Olanda degli anni ’70, il libero (ruolo che ricopriva Frank Rijkaard) aveva il compito di salire a centrocampo, trasformando il modulo in una sorta di 3-4-3, dove anche il portiere veniva spesso coinvolto nella costruzione del gioco, portando van der Sar a ricoprire, in fase di possesso palla dell’Ajax, praticamente il ruolo di libero. I due terzini, invece, ricoprivano il ruolo di marcatori, permettendo, così, alla difesa di essere sufficientemente coperta in caso di contropiede. L’intento di van Gaal era quello di praticare una sorta di calcio totale, ma con ruoli ben definiti, dove ogni giocatore era chiamato a svolgere un compito ben preciso e dove l’improvvisazione era prevista soltanto nella fase conclusiva dell’azione. Non a caso, quasi tutti i goal dell’Ajax nascevano da un’azione corale che metteva in condizione i singoli – come Jari Litmanen o Patrick Kluveirt – di poter trovare la via del goal aggiungendo quel tocco di imprevedibilità e/o di cinismo necessario per finalizzare un’azione offensiva ben orchestrata.
Per farsi un’idea ancora più precisa del gioco di quell’Ajax abbiamo scelto quattro partite in particolare di quella stagione: le due partite di campionato contro l’avversario più duro, il PSV, e la squadra rivale in europa, affrontata ben tre volte in quell’edizione della UEFA Champions League (due volte nella fase a gironi e poi in finale), il Milan campione d’Europa in carica.
La partita in questione è la prima giocata campionato contro i rivali del PSV, nel quale militava un giovanissimo e già assai temibile Ronaldo, ad inizio stagione. In questa partita il sistema difensivo dell’Ajax di van Gaal si dimostrò perfetto per annullare quelle che erano le caratteristiche principali del brasiliano e di quel PSV: gli inserimenti per vie centrali, spesso con tagli alle spalle della difesa. Non a caso, l’unico goal della squadra di Eindhoven arrivò direttamente su calcio da fermo. Il grande pressing effettuato dagli uomini di van Gaal (una delle caratteristiche principali anche del Barcelona di Guardiola) si rivelò determinante anche per il primo dei quattro goal dell’Ajax. La lettura del match da parte di LvG fu praticamente perfetta: costringere un avversario che non ha grandi saltatori e che punta molto sugli spazi e sugli attacchi per vie centrali a giocare largo, lasciando così anche spazio sulle fasce su un eventuale contropiede. Il modo di giocare di quell’Ajax impediva al proprio avversario di poter costruire l’azione e lo costringeva a dover attaccare un settore preciso del campo, dando modo alla difesa di organizzarsi nel modo migliore e rendendo piuttosto prevedibili (e inefficaci) le manovre offensive dell’avversario. Il risultato fu eloquente: vittoria per 4-1 dell’Ajax.
Anche in Europa, dove l’Ajax esordì ad inizio stagione affrontando il Milan campione d’Italia e d’Europa di Fabio Capello, accadde qualcosa di simile. I Rossoneri, non abituati a quel tipo di gioco, ebbero grosse difficoltà in fase di impostazione e non riuscirono a prendere le misure di un avversario che utilizzava uno stile di gioco molto diverso da quello delle altre squadre, sia quelle italiane che quelle straniere, subendo una sorprendente sconfitta per 2-0 sia all’andata, ad Amsterdam, che al ritorno in Italia.
La gara di andata della fase a gironi.
La gara di ritorno della fase a gironi.
Le due squadre si ritrovarono, poi, nella finale di Vienna del 24 Maggio 1995. Tutto ampiamente prevedibile (giusto per la cronaca: l’Ajax si sbarazzò del Bayern München di Giovanni Trapattoni in semifinale, rifilandogli un netto 5-2 nel match di ritorno).
L’Ajax schiera il solito 3-4-3 mascherato da 4-3-3, con Edwin van der Sar in porta, la difesa a tre composta da Michael Reiziger, Danny Blind, Frank de Boer, Frank Rikjaard come libero, mentre il trio di centrocampo vede la presenza del mastino Edgar Davids, l’intelligenza tattica di Clarence Seedorf e la fantasia di Jari Litmanen, sulle fasce i temibili George Finidi e Mark Overmars, con Ronald de Boer schierato come punta centrale (ricoprendo un ruolo che oggi è conosciuto col nome di Falso Nueve), preferito a Patrick Kluivert.
Questa volta Fabio Capello riesce a prendere bene le misure del’Ajax, ma – esattamente come accaduto al PSV – ciò costringe il Milan a snaturare in parte il proprio atteggiamento tattico e ne esce fuori uno dei tipici match di van Gaal: poche azioni da goal, match “addormentato” puntando sul possesso palla e attesa del momento giusto per colpire. Il Milan, a fine primo tempo, riesce a procurarsi un’occasione d’oro con Marco Simone, ma Edwin van der Sar para e devia sul palo l’unica occasione degna di nota di tutto il primo tempo. Nel secondo, van Gaal decide di fare due cambi che si riveleranno decisivi: ad inizio ripresa, richiama in panchina Seedorf e mette in campo Nwankwo Kanu, più forte a livello fisico rispetto all’olandese e più abile a sfruttare gli spazi, mentre, nella parte finale dell’incontro, richiama in panchina Jari Litmanen e si affida al giovane talento Patrick Kluivert.
Il resto è storia. A cinque minuti dalla fine, lo stesso Kluivert, al termine di una bella azione corale dell’Ajax, riesce a farsi beffe della difesa del Milan e di un certo Franco Baresi, superando Sebastiano Rossi con un velenoso tocco mancino e sfruttando al meglio quella che era stata l’unica occasione vera e propria dell’Ajax.
Primo tempo:
Tutto ciò dimostra che il famoso Ajax di Louis van Gaal che conquistò l’Europa, spettacolare e divertente per tutta la stagione, nelle partite decisive è stato capace di mettere da parte l’estetica, diventando una squadra cinica e molto attenta all’ordine tattico pur di vincere. Questo sfata il falso mito di un van Gaal fedele più al calcio spettacolo che ai risultati ad inizio carriera, dimostrando che la mentalità dell’olandese è sempre stato quella di costruire squadre, sì, capaci di dare spettacolo in determinante partite, ma soprattutto solide dal punto di vista mentale e che, in alcuni casi, badassero esclusivamente al risultato.
Altri indizi che provano questa tesi arrivano nella stagione seguente, la 1995/1996, dove l’Ajax si laurea campione del Mondo battendo i brasiliani del Grêmio ai calci di rigore, al termine di una partita piuttosto noiosa, e dove sfiora l’impresa (tutt’ora mai realizzata da nessuna squadra) di vincere due edizioni consecutive della moderna UEFA Champions League, perdendo soltanto ai tiri dal dischetto contro la Juventus nella finale di Roma. Fra l’altro, in quella stagione l’Ajax sconfisse anche il Real Madrid al Santiago Bernabéu.
Il video della storica vittoria in casa del Real Madrid:
Se per l’olandese lo spettacolo è un elemento importante, ma non quanto i risultati, per i sostenitori catalani vedere una squadra non sempre capace di intrattenere il proprio pubblico con il bel gioco è quasi intollerabile. La brutta partenza in campionato e la prematura eliminazione in UEFA Champions League nella stagione seguente, arrivata in un girone di ferro con il Bayern e il nostro Manchester United, portano van Gaal a rischiare addirittura l’esonero nel Dicembre 1998. Ciò fu frutto anche delle incomprensioni con il brasiliano Rivaldo, che non gradiva il fatto di dover giocare da esterno sinistro e di vedere le proprie qualità utilizzante soltanto in parte, nonostante le sue eccellenti doti da trequartista.
Ma a salvare la traballante panchina del tecnico olandese fu il primo goal in carriera di un giovanissimo Xavi, che realizzò la rete della vittoria nei minuti finali di un Real Valladolid v Barcelona che sembrava destinato a terminare 0-0. In quel momento, il Barcelona si trovava addirittura al 10° posto in classifica e, con ogni probabilità, van Gaal sarebbe stato esonerato in caso di mancata vittoria in quella che da molti era considerata la sua ultima spiaggia. Quel goal cambiò totalmente il destino della Liga, dando vita ad un’incredibile rimonta che portò i Blaugrana a vincere nuovamente il campionato e a festeggiare degnamente l’anno del centenario del club.
Oltre a portare a casa due titoli, van Gaal fece anche una cosa che cambiò, a lungo andare, la storia del Barcelona: impose che il proprio sistema di gioco venisse utilizzato anche in tutte le selezioni giovanili del club, compresi i pulcini. Cosa che, da allora, il Barcelona fa ogni anno (e con i risultati che tutti conosciamo).
Nella stagione seguente, visto anche il grande potenziale della rosa del Barcelona – nel quale militavano giocatori come il sopracitato Rivaldo, Mark Overmars, Patrick Kluivert, Pep Guardiola, Luís Figo, i fratelli de Boer e Xavi – in molti si aspettavano il tanto atteso trionfo in UEFA Champions League, l’unico traguardo ancora da raggiungere per van Gaal nella sua esperienza in Catalogna.
Il Barcelona supera in scioltezza entrambe le fasi a gironi (da quell’edizione, fino alla stagione 2002/2003, la UEFA decise di far disputare ben due gironi prima di arrivare alla fase ad eliminazione diretta), regalando anche spettacolo come nella sfida di Wembley contro l’Arsenal, demolito dal Barcelona con uno spettacolare 4-2.
Ma il sogno europeo dei catalani viene interrotto dai connazionali del Valencia in semifinale, che umiliano la squadra di van Gaal con un netto 4-1 all’andata, per poi subire una sconfitta indolore al Camp Nou. Questa sconfitta segna la fine del complicato rapporto dell’olandese con i catalani, portando van Gaal a dimettersi dopo aver perso anche la corsa per il titolo. L’ex tecnico dell’Ajax, però, nonostante non fosse particolarmente amato a Barcelona, lascia la Spagna con due titoli e una coppa nazionale conquistati nel giro di soli tre anni e, seppur uscendone (in parte) ridimensionato, conserva l’aura dell’allenatore vincente e severo.
In seguito, van Gaal tentò l’esperienza da CT della Nazionale Olandese, ma il suo primo tentativo si rivelò un fallimento poiché, a sorpresa, gli Oranje mancarono la qualificazione alla Coppa del Mondo del 2002. Neanche la seconda esperienza al Barcelona, durante la stagione 2002/2003, si rivelò particolarmente felice per l’olandese, finendo per essere esonerato qualche mese più tardi.
Ma quello che sembra essere un rapporto destinato a durare a lungo, vede la sua fine già l’anno successivo, a seguito di una stagione non molto esaltante da parte del Bayern e di alcune incomprensioni fra van Gaal e la dirigenza bavarese sulla gestione del calciomercato.
Terminata l’esperienza in Germania, LvG tenta per la seconda volta l’avventura da CT della Nazionale Olandese, e stavolta i risultati saranno decisamente migliori. Qui van Gaal decide di adottare un nuovo modulo, il 3-5-2, attuando anche una significativa rivoluzione per riportare a grandi livelli gli Oranje dopo il disastroso Campionato Europeo del 2012. Robin van Persie, diventato nel frattempo protagonista assoluto nel Manchester United, diventa il capitano degli Arancioni e vari giovani, fra cui Daley Blind e Memphis Depay, cominciano a trovare spazio nella nazionale maggiore.
La FIFA World Cup del 2014 in Brasile parte con il botto: gli Oranje affrontano all’esordio la nazionale favorita, campione d’Europa e del Mondo in carica, della Spagna in una specie di riedizione della finale del Mondiale precedente. E qui van Gaal punisce la Spagna con la sua stessa arma, cioè con un possesso palla prolungato, in attesa che l’avversario conceda qualche spazio per affondare. La Spagna si porta in vantaggio, ma un perfetto lancio di Daley Blind permette a Robin van Persie di segnare uno dei più bei goal della storia e di rimettere le cose a posto prima dell’intervallo. Nella ripresa, sfruttando soprattutto la velocità di Arjen Robben, i Paesi Bassi mandando letteralmente in confusione la Roja, fin troppo sfilacciata e sbilanciata, e la demoliscono con un perentorio 5-1.
Gli Oranje arrivano agli ottavi di finale classificandosi primi, a punteggio pieno, nel proprio girone e diventano, a quel punto, una delle squadre più accreditate per la vittoria finale. Ma dagli ottavi in poi, già a partire dalla gara con il Messico, gli Oranje cominceranno a mostrare dei limiti spesso riscontrati, successivamente, anche nel Manchester United. Ad esempio, il Messico viene eliminato soltanto grazie ad un incredibile uno-due nel finale di partita, mentre le successive partite contro Costa Rica, ai quarti, e contro l’Argentina di Lionel Messi, in semifinale, terminano entrambe ai calci di rigore dopo due brutti e noiosi 0-0.
Contro i sudamericani, poco prima della fine dei tempi supplementari, van Gaal opera una sostituzione che spiazza tutti e con la quale rischia di mettere in gioco la propria reputazione: inserisce il portiere di riserva, Tim Krul, e richiama in panchina quello titolare, Jasper Cillessen, per i rigori. Una scelta che risulta folle in apparenza, ma che si rivela vincente. Krul para due penalty e gli Oranje tornano a giocarsi una semifinale di Coppa del Mondo dopo ben 16 anni.
Louis van Gaal si presenta, dunque, al Manchester United nel modo migliore e le cose sembrano funzionare subito bene, visto che la squadra vince ogni singola partita del Tour Pre-Season 2014, compreso il torneo International Champions Cup, dove i Red Devils battono il Real Madrid di Cristiano Ronaldo e il Liverpool. E gli arrivi di Ángel Di María, Daley Blind, Marcos Rojo e di Radamel Falcao fanno sognare e sperare i tifosi.
Ma la stagione, quella ufficiale, non inizia nel migliore dei modi e il 3-5-2 si rivela un modulo poco adatto per la squadra, tanto da collezionare appena 8 punti nelle prime 6 partite di campionato, e subendo un’umiliante eliminazione nella Capital One Cup da parte del MK Dons. Le cose sembrano aggiustarsi nella fase invernale, dove van Gaal trova la giusta sistemazione tattica per la squadra, rivitalizzando giocatori come Ashley Young e Marouane Fellaini. Arrivano sei vittorie di fila, fra cui un bel 3-0 contro il Liverpool, dove la squadra dimostra di aver finalmente ritrovato una solidità mentale dopo averla totalmente smarrita nella stagione precedente.
Manchester United 3-0 Liverpool – FA Premier League 2014/2015L’ampia sintesi della splendida vittoria di ieri del Manchester United FC sui rivali storici del Liverpool FC, valevole per il sedicesimo turno della Barclays Premier League 2014/2015.
Posted by Red Army Italy – Manchester United Supporters Club Italia on Lunedì 15 dicembre 2014
Ma la squadra torna a fare qualche passo falso di troppo e viene anche eliminata in FA Cup per mano dell’Arsenal, senza produrre un gioco che entusiasmi più di tanto la tifoseria. Tuttavia, le belle vittorie in casa del Liverpool e nel derby contro il Manchester City, sconfitto 4-2, fanno presagire a dei miglioramenti in vista della stagione successiva e lo United riesce a qualificarsi per i preliminari di UEFA Champions League.
In estate, però, vengono a galla delle questioni che hanno, molto probabilmente, influenzato anche l’andamento altalenante della scorsa stagione, come l’infelicità di Ángel Di María, che scappa al Paris Saint-Germain. Arrivano Memphis Depay, Bastian Schweinsteiger, Matteo Darmian e Sergio Romero, ma il mercato dello United non viene gestito in maniera brillante da LvG, che manda inspiegabilmente via Robin van Persie e, poi, anche Javier Hernández, arrivando all’ultimo giorno di mercato senza aver ancora risolto la questione David de Gea. Un’e-mail arrivata con due minuti di ritardo, però, fa saltare il passaggio del portiere spagnolo al Real Madrid e van Gaal, che nel frattempo era riuscito comunque a dare una buona solidità alla propria difesa, può contare su un giocatore che si sta rivelando tutt’ora fondamentale.
Il gioco continua a non essere entusiasmante, tanto che una leggenda del club come Paul Scholes ha più volte criticato pubblicamente Louis van Gaal e che, in più di un’occasione, parte della tifoseria ha addirittura fischiato il tecnico olandese durante le partite (una cosa davvero rara da vedere all’Old Trafford).
Però, per quanto le squadre allenate da LvG non siano propriamente devote al cosiddetto calcio champagne, da questa lunga analisi si evince che i suoi metodi si sono rivelati quasi sempre vincenti, ma soprattutto spesso – come accaduto sia al Barcelona che al Bayern – il suo operato ha posto le basi per le vittorie future della squadra. E, visto che probabilmente sarà Ryan Giggs il suo successore nel 2017, ciò non può far altro che farci sperare in un futuro decisamente migliore.
I giocatori schierati fuori ruolo, le sostituzioni inaspettate, un modo di fare che può apparire arrogante, il gioco incentrato più sul risultato che sullo spettacolo e tutto il resto, come avete avuto modo di vedere, sono caratteristiche che Louis van Gaal ha sempre avuto. Ma proprio grazie a queste caratteristiche ha vinto tanto e potrebbe anche portare il nostro Manchester United a conquistare qualche trofeo anche in questa stagione.
Difficilmente van Gaal sarà mai amato da noi tifosi in tutto e per tutto, perché è davvero difficile legarsi ad un allenatore apparentemente così distante dal profilo che aveva Sir Alex Ferguson, ma bisogna dargli fiducia e sostenerlo. Ci toccherà armarci di tanta, tanta pazienza, ma alla fine potrebbe davvero valerne la pena…
Marco Antonucci