Ryan Giggs rivela di aver dovuto ricorrere all’aiuto di uno psichiatra per adeguarsi all’idea di lasciare il Manchester United nel 2016, dopo aver trascorso ben 28 anni nel club fra giovanili, carriera da giocatore e da assistente di Louis van Gaal.
L’ex ala gallese, che ha incantato l’Old Trafford in tre differenti decadi dedicando allo United interamente la propria carriera da calciatore professionista, racconta di come sia stato difficile accettare la separazione fra lui ed il club e che casi come quello dello sfortunato Aaron Lennon sono tutt’altro che rari nel mondo del calcio.
Questo il racconto di Giggs nella sua rubrica sul The Daily Telegraph:
“Un calciatore professionista, se è fortunato, inizia la propria carriera da ragazzino e la finisce da adulto seguendo nient’altro che la stessa, precisa, rigorosa programmazione quotidiana. Ci sono alcuni di noi che hanno trascorso fisicamente i migliori anni della propria gioventù e da adulti nello stesso club.
Ufficialmente potrei descrivere così la mia vita da calciatore al Manchester United.
Sono stato lì dai 14 ai 42 anni d’età, e la mia vita ha seguito distintamente il ritmo della vita all’Old Trafford fino a quando non ho realizzato, quando stava per finire lo scorso anno, che avrei dovuto cominciare a prepararmi per un cambiamento.
La storia di Aaron Lennon ha riportato nuovamente al centro dell’attenzione la questione sulla salute mentale dei calciatori e penso che sia importante per lui e per tutti gli altri aprirsi su cosa proviamo noi professionisti, e su come fronteggiamo lo stress.
So che chi non fa parte del gioco si concentra sul nostro stipendio e sul tipo di vita che viviamo e ciò si estende anche alle sfide che affrontiamo in campo, ma tutto ciò non ci rende immuni.
Quando la mia vita da giocatore e, poi, da allenatore allo United è giunta alla fine l’estate scorsa, ho attraversato un punto importante di transizione nella mia vita professionale e in quella privata.
Ho preso la decisione di vedere uno psichiatra per imparare ad affrontare tutto ciò al meglio e alcuni suggerimenti mi sono serviti per adattarmi ad una nuova vita al di fuori dell’Old Trafford.
Mi ha suggerito di tenermi occupato, ed è ciò che ho fatto andando ai Campionati Europei della scorsa estate come opinionista e, poi, in India dopo aver ricevuto un invito per partecipare ad un torneo di calcio a cinque.
Ci sono state anche altre piccole cose. Mi sono iscritto ad una palestra per la prima volta nella mia vita e il semplice suggerimento di trascorrere mezz’ora lontano da casa l’ha resa una routine.
Ryan Giggs nelle sue prime stagioni al Manchester United
Tutta la mia vita è stata tracciata durante i miei 28 anni allo United. Dalla mia età scolare fino alla mia vita da giocatore, settimana dopo settimana, anno dopo anno, anche le stagioni estive. Poi, finalmente, non sono mai stato così occupato come negli ultimi due anni da assistente sotto la gestione di Louis van Gaal.
Sono grato per tutto ciò che mi ha dato, ma ho anche capito che la mia carriera è finita ad un’età in cui le persone al di fuori del calcio raggiungono l’età adulta e il successo nelle proprie vite.
Non vedevo l’ora di vedere mio figlio giocare a calcio nei weekend per la prima volta, e averlo potuto fare è stato fantastico. Spendere del tempo con i miei bambini negli ultimi 10 mesi è stato un grande piacere, ma hanno anche le loro vite fra la scuola e le ore da riempire nel tempo libero.
Sapevo che sarebbe stato psicologicamente difficile e che mi sarei dovuto preparare, e la maggior parte delle cose è andata bene. Ricordo ancora quando da giovane Steve Bruce e Bryan Robson mi dicevano che la mia carriera sarebbe trascorsa in un lampo e che all’improvviso mi sarei preoccupato di ciò che sarebbe venuto dopo. Non ho mai prestato molta attenzione a questa cosa, ma avevano ragione.
Per quanto riguarda la vita da calciatore, posso dire che ha portato con sé anche dello stress. Devo ammettere che non mi sono mai realmente goduto le partite. Giocare nello United significava dover restare sempre sull’attenti. A meno ché non ti trovavi sul 3-0 a dieci minuti dalla fine, imparavi presto che non era mai saggio guardarsi intorno, rilassarsi e godersi il momento.
Ryan Giggs insieme a Sir Alex Ferguson e a Paul Scholes durante un allenamento a Carrington
Amavo allenarmi. Anche se c’era sempre molta intensità, non c’era la pressione del giorno della partita e stavi insieme a persone che ti piacevano e che rispettavi, giocando al gioco che ami. Abbiamo mangiato bene, siamo stati ben curati e gli esercizi quotidiani per liberare l’endorfine hanno avuto un grande effetto sul nostro stato d’animo.
Non so cosa abbia colpito Aaron, ma ho sempre sofferto nei periodi in cui venivo tenuto fuori dalla squadra o quando giocavo male. Da calciatore, ti preoccupi se i tuoi compagni di squadra ti guardano e fanno le domande che fai a te stesso. Perché non riesce a fare un passaggio decente? Perché è sempre infortunato? Cosa c’è che non va in lui?
Prendevo la sconfitta su un piano personale, e ci sono stati dei momenti dopo aver perso una gara importante che – se non avessimo dovuto presentarci sul campo di allenamento – non sarei uscito di casa per due giorni. Adesso so che non sarebbe utile o normale, ma è difficile sapere cosa è normale quando fai parte dell’ambiente.
Ci sono persone che fanno lavori molto stressanti: medici, infermieri, poliziotti, insegnanti, avvocati. Non ho altro che rispetto per loro. L’unico stress che sentivo da calciatore quando uscivo di casa era il fatto che non sapevo a cosa sarei andato incontro.
Possono capitarti 30 richieste d’autografo nel corso della giornata, o 30 selfie. Potrebbe non essercene nessuna. Potrebbero accaderti solo cose belle. Oppure potrebbe capitarti qualcuno aggressivo e ricevere dei commenti spiacevoli. C’era incertezza su ciò che mi sarebbe potuto capitare durante la giornata.
Ryan Giggs nella sua ultima presenza da calciatore del Manchester United, mentre ricopre il ruolo di giocatore/allenatore
Durante la mia carriera da giocatore, ho visto uno psichiatra solo una volta, quando il mio infortunio al tendine del ginocchio stava peggiorando. Quando ho cominciato a giocare, nessuno lo avrebbe fatto. C’era la mentalità del dover affrontare tutto come veniva. Un cattivo risultato non avrebbe cambiato nulla, la crema va sempre in alto (detto britannico, ndr). Questo era un metodo per affrontare le pressioni, suppongo, e poi parlare con gli esperti e con gli psichiatri è diventato gradualmente una cosa più comune.
Ho visto dei miei compagni di squadra cambiati dalle loro esperienze: David Beckham dopo la Coppa del Mondo del 1998, Phil Neville dopo Euro 2000. Dovevano prendere le distanze da ciò che li circondava. Dovevano diventare più forti. A volte, bisogna guardare in faccia il Mondo. La fama, la notorietà – se volete chiamarla così – è una cosa strana, e devi gestirla come meglio puoi.
So che per alcuni giocatori la fine della carriera è stata un sollievo.
Lo stress è una cosa che ho imparato a prendere sul serio come giocatore e posso dire che ho sofferto diverse volte la pressione, così come mi sono preoccupato di ciò che sarebbe successo quando avrei smesso di giocare. E penso, guardandomi alle spalle, di essere stato uno dei più fortunati.”
Marco Antonucci