Juan Mata dà vita ad una splendida iniziativa chiamata Common Goal, che vedrà il calciatore del Manchester United donare ogni mese una porzione del proprio stipendio in beneficenza. Lo spagnolo invita i suoi colleghi a seguire in massa il suo esempio e racconta, con una bella e lunga intervista, cosa significa per lui il calcio e cosa lo ha spinto ad appoggiare questa causa.
Oltre che per la sua grande classe in campo, Mata si è sempre distinto anche per le sue eccellenti doti intellettive e soprattutto per una generosità fuori dal comune, diventando un idolo di ogni tifoseria per la quale ha giocato.
Ma dietro ad un grande uomo ci sono sempre una storia importante e persone di grande valore, ed è il caso anche del numero 8 dello United, il quale ha raccontato le tappe più importanti della sua carriera sia a livello professionale che umano, che lo hanno convinto ad inseguire un obiettivo nobile e coraggioso.
Ecco la traduzione integrale del post scritto dallo stesso Juan Mata e pubblicato ieri dal sito www.theplayerstribune.com:
“Oggi, comincerò qualcosa che spero possa aiutare a cambiare il Mondo, anche solo in piccola parte. E spero che altri calciatori sparsi nel Mondo mi aiutino a raggiungere questo obiettivo. Ma prima di parlarvene, devo dirvi cosa significa il calcio per me.
Per farlo, devo cominciare a raccontare qualcosa che non dimenticherò mai.
Continuo ancora a vedere arrivare il cross. Posso vedere la palla rimbalzare sulla testa di Thomas Müller, scavalcare Petr Čech per poi colpire la traversa ed entrare dentro. E poi ricordo ancora il rumore. Non riuscivo nemmeno ad ascoltare i miei pensieri… Era elettricità pura.
Il Bayern München ha appena segnato a Monaco di Baviera, all’83’ minuto della finale di Champions League del 2012, portandosi sull’1-0 contro il Chelsea; la mia squadra. Non credo di aver mai sentito un rumore come quello in precedenza.
Qualche secondo dopo, ero nel cerchio di centrocampo dell’Allianz Arena, aspettando che i giocatori del Bayern finissero di festeggiare il goal che pensavano che gli avrebbe fatto vincere il match. Didier Drogba, mio compagno di squadra al Chelsea, si avvicinò a me per riprendere il gioco. Didier non piegava mai la testa verso il basso, non sembrava mai scoraggiarsi, ma in quel momento lo fece. E non capivo perché. Avevamo superato così tanti ostacoli per arrivare in finale. Il nostro manager era stato esonerato qualche mese prima, poi abbiamo battuto in rimonta il Napoli agli ottavi di finale, poi siamo sopravvissuti in 10 uomini al Camp Nou nelle semifinali. E adesso… Cosa succede? È finita?
Ho poggiato la mia mano sulla spalla di Didier e gli ho detto: ‘Guardati intorno, Didier. Guarda dove siamo. Per favore, non preoccuparti. Continua a crederci… Semplicemente credici.’
Per qualche ragione, continuavo a pensare: Siamo destinati a vincerla.
Sono una persona abbastanza tranquilla e penso che, quando ha visto che lo incoraggiavo a continuare a crederci, Didier non poteva fare a meno di sorridere. Mi disse: ‘Ok, Juan. Let’s go!’
Mata esulta insieme ai compagni per il goal dell’1-1 nella finale di UEFA Champions League del 2012
Eravamo circondati da 50.000 chiassosi tifosi tedeschi, ma giù in campo, Didier ed io sapevamo che avevamo bisogno solo di una chance. E, cinque minuti dopo, ne abbiamo avuta una. Abbiamo guadagnato un corner. Ho posizionato la palla e Didier ha corso verso il primo palo. Ricordate, sì?
Penso che ogni tifoso del Chelsea ricordi il commento di Martin Tyler: ‘Drogba!!! Hanno nuovamente tirato fuori il coniglio dal cilindro! Il Chelsea non molla mai in Champions League!’
Dopo aver segnato il pareggio… Già sapevo [come sarebbe andata]. Anche quando siamo andati ai calci di rigore, sapevo [che avremmo vinto]. E, quando Didier è andato a calciare l’ultimo rigore, ero sicuro che avrebbe segnato. Penso che l’espressione sul suo volto, dopo aver spedito la palla dentro, dicesse tutto. Non sapeva se piangere o sorridere. Era stupefatto, come lo eravamo tutti.
E, non appena il pubblico è scomparso, ho subito pensato alla mia famiglia. Erano tutti presenti fra il pubblico quella notte: mio papà, mia mamma, i miei nonni, i miei amici. So che i rigori sono stati stressanti per loro; specialmente per la mia povera nonna.
Più tardi, qualcuno mi disse che era così nervosa da nascondersi in bagno verso la fine del match.
Juan Mata festeggia la vittoria dell’edizione 2011/2012 della UEFA Champions League
Mentre stavamo festeggiando, ho guardato i compagni di squadra che avevo attorno, e ho visto il bello del calcio. Un portiere proveniente dalla Repubblica Ceca. Un difensore proveniente dalla Serbia, e un altro dal Brasile. Centrocampisti dal Ghana, dalla Nigeria, dal Portogallo, dalla Spagna e dall’Inghilterra. E, naturalmente, un incredibile attaccante proveniente dalla Costa d’Avorio.
Venivamo da tutto il Mondo, da diverse circostanze, e abbiamo parlato in tante lingue diverse. Alcuni erano cresciuti durante la guerra. Alcuni erano cresciuti in povertà. Ma in quel momento eravamo lì in Germania, tutti insieme, come Campioni d’Europa.
Il modo in cui ci eravamo uniti, provenendo da diverse parti del Mondo, per lavorare insieme nel tentativo di raggiungere un obiettivo comune, per me, significava più del trofeo stesso. Per me, queste cose possono cambiare il Mondo in meglio.
Un giovanissimo Juan Mata
Sono molto fortunato. Sono nato in una famiglia che mi ha dato un sostegno incredibile nel Nord della Spagna. Mio padre è stato un ex calciatore; un’ala sfuggente. Era mancino, come me, ma (devo ammettere) più veloce. Amava dribblare i giocatori. Mi ricordo quando guardavo le videocassette dei suoi vecchi match nella nostra casa ad Oviedo. Vederlo giocare sembrava divertente. Per questo scelsi di voler giocare anch’io a calcio.
Ed è così che sono andate le cose quando ero bambino, così sono stato cresciuto. Anche se mio padre era un calciatore, non sono mai stato costretto a giocare a calcio. I miei genitori, Juan e Marta, volevano che io e mia sorella, Paula, sperimentassimo tutto ciò che la vita ha da offrire.
Il primo autografo che ho mai firmato non l’ho fatto perché ero bravo a calcio. In realtà perché ero bravo nei quiz; come quelli accademici in generale, ma più difficili. Quando avevo 13 anni, fui scelto per far parte di una squadra che partecipava ad una competizione regionale dove bisognava rispondere a 200/300 domande. Vincemmo, e il giorno seguente tutti i ragazzi a scuola volevano il nostro autografo.
Qualche settima dopo, la mia squadra viaggiò in Austria, Germania, Liechtenstein e Svizzera. Quel viaggio mi permise di vedere davvero per la prima volta come vivevano nelle altre nazioni. Ad un’età così giovane, mi diede modo di vedere il Mondo da un’altra prospettiva. Non conoscevo tutto. Ma sapevo che volevo vedere di più.
Quando avevo 15 anni, il calcio mi diede una chance.
Juan Mata durante gli anni trascorsi nelle giovanili del Real Madrid
Dopo aver terminato un match con la mia squadra locale, l’Asturias, mio padre venne a prendermi per portarmi a casa come faceva di solito. Ma, questa volta, accadde qualcosa di diverso. Andammo nel parcheggio, dove c’era parcheggiata soltanto un’altra macchina. C’era un uomo ad aspettarci… E lo riconobbi. Era uno dei capo osservatori del Real Madrid. Lo avevo già visto in alcune delle nostre partite.
Mio padre parlò con lui per un paio di minuti, e poi venne in macchina a dirmi che il Real Madrid voleva comprarmi. Ero così stupefatto… Non sapevo cosa pensare. Madrid? Il Real Madrid? Vuole me?
Passai i giorni successivi a parlare con la mia famiglia. Era difficile per mia mamma e mio papà mandarmi in una grande città come Madrid, ma la nostra famiglia disse: ‘certi treni non passano due volte nella vita’.
Quel giorno, passò da me. E sapevo che non sarebbe mai passato una seconda volta.
Parlai anche con mio nonno, che è sempre stato un mio grande fan. Era lui che mi portava agli allenamenti e alle partite quando i miei genitori erano occupati. Inoltre, guardava ogni mia singola partita. Mi disse di seguire il mio cuore e che il mio sogno di diventare un calciatore professionista richiedeva dei rischi.
Quando le persone parlano di calcio, solitamente lo fanno riferendosi ai soldi o ai trofei. Ma il calcio dà ai giovani anche qualcosa di diverso. Ti offre esperienze di vita vera. E, a volte, la vita reale è difficile.
Nelle giovanili del Real Madrid, imparai a vivere da solo e a stare lontano dai miei genitori per delle settimane. Quando sei da solo, scopri cose nuove di te stesso. Pensavo al duro lavoro e ai tanti sacrifici fatti dai miei genitori e dai miei nonni per permettermi di arrivare dove mi trovavo. E realizzai di avere la responsabilità di lavorare duramente e di sfruttare al meglio le mie possibilità. Ma in un club come il Real Madrid – che al tempo aveva giocatori come [David] Beckham, [Luís] Figo, [Zinedine] Zidane, Roberto Carlos e tanti altri – farlo può essere difficile.
Juan Mata ha trascorso quattro stagioni al Valencia, vincendo una Copa del Rey
Così, nell’estate 2007, firmai per il Valencia. Vorrei potervi dire che il periodo trascorso lì è stato perfetto, ma non lo fu. Credo che cambiammo allenatore tre volte durante la mia prima stagione. Avevo 19 anni, circondato da giocatori che avevano intorno ai 30 anni. La mia famiglia era preoccupata per me. Specialmente mio nonno. Venne a vedere tante partite a Valencia. E, quando non era lì, le guardava in TV. Non si è mai perso un match della mia carriera professionistica. Ricordo quando lo chiamai una sera in cui mi sentivo giù, e non dimenticherò mai ciò che mi disse.
‘Il tuo calcio e la tua carriera, Juan, mi hanno dato la vita. Mi sento così orgoglioso di te e mi sento pieno di speranza quando ti vedo giocare.’
Quella chiamata ebbe un grande impatto su di me, e sul mio modo di pensare al calcio. Iniziai a giocare perché portavo gioia alle persone in modi diversi, non soltanto segnando dei goal. Mio nonno era la reincarnazione di questo concetto e, dopo averlo capito, ho fatto di tutto per mantenere sempre questo pensiero.
Penso che i miei quattro anni a Valencia siano stati il mio apprendistato, perché è lì che ho imparato l’arte del calcio e ho acquisito una preziosa visione della vita.
Il mio tempo in Inghilterra è stato un po’ come vivere il Mondo reale dopo l’Università. Ci sono stati punti tremendamente alti; due nomine come Giocatore dell’anno del Chelsea e una Champions League. Ma ci sono stati anche alcuni punti bassi. Il mio terzo anno a Londra è stato difficile. Ho perso i favori della squadra e ho cominciato a mettere in discussione le mie qualità. Ma non ho mai provato alcun rancore verso nessuno. Non è così che sono cresciuto.
Juan Mata segna in UEFA Champions League uno dei suoi 36 goal realizzati con il Manchester United
Mi importa molto delle relazioni. Nel calcio, questo può essere difficile. Quando ho lasciato il Chelsea per il Manchester United, ho voluto assicurarmi che ricevesse una cifra adeguata e che avrei potuto mantenere i miei rapporti con la gente di Londra. E spero di averlo fatto.
Ma adesso sono un Red Devil. E non sarebbe potuto essere diversamente. Ci sono grandi club nel Mondo, e poi c’è il Manchester United. Ho imparato piuttosto velocemente cosa significa. Nella mia seconda stagione con lo United, ho segnato un goal in semi-rovesciata contro il Liverpool ad Anfield, e oggi – a prescindere da quale parte del Mondo si trovi la nostra squadra – è quasi sempre la prima cosa che la gente mi chiede. Vengo da una piccola città spagnola, dove forse qualche migliaio di persone mi ha visto segnare dei goal, ma ora segno dei goal che vengono visti sia da chi vive ad Oviedo che da chi vive a Los Angeles, o Berlino o Melbourne. La famiglia dello United è sparsa in tutto il Mondo, e quasi ogni giorno ciò mi ricorda che la forza del calcio è stata quella di aver unito le persone in tutto il Mondo.
Juan Mata realizza uno splendido goal in semi-rovesciata, ad Anfield, contro il Liverpool
Il mio amore per i tifosi dello United è cresciuto ogni anno da quando sono a Manchester. Sono felice di aver dato loro momenti come questo contro il Liverpool. Ma, a Febbraio, sono stato io ad aver bisogno dell’aiuto delle persone di Manchester.
Mio nonno – che ha continuato a non perdersi nemmeno uno dei miei match a livello professionistico – era molto malato. Ricordo la videochiamata che feci con lui quando ero sul bus dopo che avevamo battuto il Saint-Étienne 1-0, in Francia, in un match di Europa League. La sua voce era debole… Posso dire che stava soffrendo. Le sue parole uscivano lentamente, ma mi disse che il mio assist per Henrikh Mkhitaryan durante il match fu grandioso.
È stato probabilmente l’assist più speciale della mia vita. Perché è stato l’ultimo visto da mio nonno. Qualche giorno più tardi, è passato a miglior vita.
Sai quando succede qualcosa di importante nella tua vita e ti ricordi esattamente dove ti trovavi? Ricordo tutto di quella partita e della corsa del bus verso casa. E spero, quando rivedrò mio nonno, di potergliene parlare.
Sono volato in Spagna per andare al suo funerale poco tempo dopo. Quando sono tornato a Manchester e ho acceso il mio telefono, ho visto tutti i messaggi dei tifosi dello United sui social network; e questo ha significato il Mondo per me. Avrei voluto abbracciare tutti coloro che mi avevano scritto.
Abbiamo vinto il match successivo, la finale di League Cup contro il Southampton. Ma, dopo la gara, mi sentivo un po’… Vuoto. Non potevo più condividere la vittoria con mio nonno. Una delle cose che nel calcio, e nella vita, mi hanno reso più orgoglioso è stata quella di poter condividere i miei momenti più belli con la mia famiglia. Ma in quel momento, in cui sentivo il disperato bisogno di parlare con mio nonno, non potevo. Così ho cominciato a riflettere.
Juan Mata mette la sua firma nella vittoria della Emirates FA Cup, segnando nella finale di Wembley
Ho pensato a tutto ciò che mi ha dato il calcio. E ho pensato a cosa vorrei lasciare in eredità. So quanto sono stato fortunato nell’avere le opportunità che ho avuto; e non tutti hanno una famiglia come la mia. E, anche se ho già fatto beneficenza in passato, so che voglio farne ancora di più. Voglio assicurarmi che anche altri ragazzi abbiano le possibilità che ho avuto io.
Quindi, a partire da oggi, donerò l’1% del mio stipendio a Common Goal, una raccolta fondi – gestita dai vincitori del premio NGO streetfootballworld – che sostiene le organizzazioni calcistiche a scopo benefico di tutto il Mondo. È un piccolo gesto che, se condiviso, può cambiare il Mondo.
Chiedo ai miei colleghi professionisti di unirsi a me nell’undici titolare di Common Goal. Insieme possiamo creare un movimento basato su dei valori condivisi che possono diventare parte integrante dell’intera industria del calcio; per sempre.
Sto guidando questo tentativo, ma non voglio farlo da solo.
Una delle prime lezioni che ho imparato nel calcio è che ci vuole una squadra per realizzare i tuoi sogni. Seguiamo questo mantra in campo, ma non abbastanza a livello sociale. Common Goal è un modo per permettere al calcio di dare sostegno alla società. È il modo più efficace e sostenibile con cui il calcio può avere un impatto sociale a lungo termine su scala mondiale. Il calcio ha il potere per farlo, ma dobbiamo agire insieme.
L’obiettivo adesso è di raccogliere il contribuito dei giocatori, ma l’obiettivo a lungo termine sarà quello di raccogliere l’1% dell’intero ricavato dell’industria del calcio per le associazioni calcistiche a scopo benefico che rafforzano le proprie comunità attraverso lo sport.
Proprio il mese scorso, ho viaggiato a Mumbai, in India, per vedere un’associazione benefica simile. Siamo andati in un casale appena fuori città e all’inizio era molto difficile comprendere il livello di povertà. Nessun bambino dovrebbe vivere così. Vedendo le loro condizioni, il mio spirito si sentiva un po’ giù.
Ma, poi, abbiamo cominciato ad interagire con dei ragazzi del luogo. Il loro inglese non era il massimo, e non sono sicuro che tutti sapessero che sono un giocatore, ma abbiamo comunicato attraverso le risate e il gioco. Se sorridevo, sorridevano anche loro. Se correvo, correvano anche loro.
Sapevano che eravamo lì per aiutarli, e nell’aria si sentiva un’energia tangibile. E nello stesso modo in cui ho dato la vita a mio nonno, questi ragazzi l’hanno data a me.
Così, adesso, vorrei invitare tutti i miei colleghi calciatori a fornire il loro aiuto. Abbiamo così tante opportunità semplicemente perché giochiamo un gioco per ragazzi. Siamo così fortunati nel vivere un sogno. Uniamoci e aiutiamo ovunque i bambini a sperimentare quella stessa luce e quella stessa gioia. In questo modo possiamo dimostrare all’industria del calcio che Common Goal può farcela e che ce la farà, perché è giusto così.”
Juan Mata
Per saperne di più e per aderire all’iniziativa, visitare il sito http://www.common-goal.org/.
Per supportare streetfootballworld e le sue iniziative, visitare http://www.streetfootballworld.org/donate-now.
Marco Antonucci