Patrice Evra confessa di essersi già imbattuto contro la piaga del razzismo ai tempi della sua esperienza in Italia, quando giocava per il Marsala, e ricorda la triste accoglienza che ricevette dai tifosi del Palermo. Il capitano dello United, inoltre, tira una frecciatina ai tifosi della nazionale francese sottolineando l’enorme differenza fra il loro modo di tifare e quello dei sostenitori del suo club – che, a detta dello stesso Evra, è molto più caloroso e paziente rispetto a quello dei sostenitori transalpini.
“Mi sento più uomo rispetto a molti altri perché ho preso colpi sia dentro, che fuori dal campo,” ha dichiarato il capitano dello United al The Sun. Ho imparato sulla mia pelle che il calcio è un mondo pieno di squali, pronti a divorarti alla prima occasione. Quando giocavo in Italia, molte persone volevano farsi una foto con me, non perché ero Patrice Evra, ma perché ero nero.”
“Ho imparato a badare a me stesso. Ci sono stati momenti in cui avrei voluto piangere, ma mi hanno insegnato ad essere duro e ciò mi ha aiutato a diventare uomo.”
“Quando avevo 17 anni, ero l’unico giocatore di colore in Sicilia. Avevo la tendenza ad arrabbiarmi facilmente e volevo sistemare le cose con i pugni. Ricordo una volta, quando giocammo a Palermo, che c’erano 20.000 spettatori che facevano i versi da scimmia ad ogni mio tocco di palla. Mi sentivo così solo. Era terribile vivere quella situazione, mi feriva profondamente nell’orgoglio.”
Evra ha festeggiato vistosamente la vittoria di Sabato con i tifosi dello United, con i quali ha chiaramente un legame più forte rispetto a quello che ha con i tifosi francesi. Dove è diventato un po’ impopolare dopo lo sciopero durante la Coppa del Mondo del 2010, il quale costò un allontanamento temporaneo dalla nazionale frase a lui e a Nicolas Anelka.
“Devo ancora vedere una bandiera o uno striscione per Thierry Henry o per Frank Ribéry allo Stade de France. I tifosi dovrebbero esserci sempre vicini a noi giocatori. Quando gioco e sento già partire i fischi dopo 5 minuti, mi chiedo: perché? È successo contro l’Irlanda, contro la Scozia, contro l’Inghilterra, è incredibile che accada ogni volta. Inizi a chiederti perché i tifosi francesi non se ne restano a casa.”
“Il pubblico incide molto su una squadra. Io gioco per un grande club e quando disponi di 76.000 persone che ti incitano è una spinta in più, ma se vieni fischiato già dopo 5 minuti [come accade con i sostenitori della nazionale transalpina] non puoi sentire lo stesso tipo di sostegno.”
“Nello United vediamo applauditi anche quando perdiamo, non subiamo mai un’ondata di fischi. In Francia, purtroppo, non abbiamo la cultura dei tifosi brasiliani, argentini, italiani ed inglesi. Quando sono arrivato in Inghilterra, mi sentivo come se stessi facendo un nuovo lavoro: l’impatto con i tifosi e con il clima presente negli stadi è stato fantastico. Il tifo è una religione per loro.”
“Ai francesi voglio solo dire di amare di più il calcio. Sto solo dicendo che non si può pretendere un autografo, quando ti senti fischiato già dopo cinque minuti.”
Marco Antonucci