venerdì , 22 Novembre 2024
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Giggs: “Il mio Manchester United non era solo il club più grande, ma anche una famiglia”

0F6BCE98ACF7499B99A922B3BA5914BE.ashx_-1024x576Ryan Giggs, in occasione della presentazione della linea che adidas Original ha dedicato alla leggendaria Class of ’92, ha parlato dei suoi ricordi legati al famoso The Cliff e in generale al Manchester United, descrivendolo come un club capace non solo di diventare il più grande al Mondo, ma di rappresentare anche una famiglia per chi ne ha fatto parte.

The Welsh Wizard crede che a rendere così speciale questo club sia soprattutto l’attenzione che rivolge verso i giovani, permettendo ai migliori prodotti dell’Academy di poter realizzare il proprio sogno di giocare in prima squadra e di provare a diventarne un membro a tutti gli effetti.

Questa la serie di domande alle quali Giggs ha risposto durante la presentazione, andata anche in onda su MUTV.

Com’è stato tornare al The Cliff?
“Io e Nicky [Butt] torniamo qui due volte a settimana perché i nostri figli sono nell’Academy, quindi torniamo molto spesso e, ovviamente, Nicky lavora nell’Academy. Ma, quando si torna come un gruppo, è sempre speciale perché qui abbiamo trascorso la maggior parte della nostra gioventù. Partendo dalla fine del percorso scolastico, ci sono stati tanti ricordi felici. E, come ha detto Becks, [i bei ricordi] non riguardano soltanto noi. Fu bello anche vedere i nostri eroi per la prima volta, camminando in mensa e sedendosi a due tavoli di distanza da Mark Hughes e Bryan Robson; giocatori che erano considerati degli eroi. E lì trovavi salsiccia e purè – la pasta non la trovavamo ancora in quei giorni – e un budino di cioccolata con salsa, e questo era tutto ciò che c’era. Era il più grande club del Mondo, ma c’era anche un’atmosfera familiare.”

È trascorso un po’ di tempo da quando eravate dei giovani dell’Academy…
“In realtà non è cambiato molto, vero? Dobbiamo ancora venire qui ogni tanto. Ma, in realtà, questa è la cosa bella del The Cliff: quando entri puoi percepire la storia! Tanti grandi giocatori hanno giocato su questi campi e nei campi indoor. Qui abbiamo trascorso la maggior parte della nostra gioventù.”

È difficile far mantenere ai tuoi figli la fame di vittorie, visto che sei il loro padre?
“È difficile, sì. Ero solito prendere il bus numero 26 e saltare oltre la recinzione nella Stretford End per vedere le partite. Loro arrivano in una bella macchina e si siedono nella director box, quindi è un po’ diverso.”

Gli fai lucidare le scarpe o qualcosa del genere?
“No, no. È bello quando puoi portare i tuoi ragazzi a vedere lo United perché siamo tutti dei grandi tifosi dello United e lo sono anche i ragazzi. Siamo stati qui la scorsa settimana per la gara con il Tottenham ed è stato fantastico, si sono divertiti. Ricordo ancora quando guardavo lo United a 9, 10 e 11 anni e sono dei ricordi fantastici.”

Hai vissuto tanti momenti negli spogliatoi; quali ti ricordi di più?
“Ne abbiamo parlato prima. Non mi viene in mente una partita in particolare, solo le grandi vittorie, le vittorie in Champions League, dove entravamo [nello spogliatoio] mentre tutti già festeggiavano, oppure un paio di occasioni in cui abbiamo vinto una gara segnando un goal all’ultimo minuto. In quei casi lo spogliatoio era davvero chiassoso, tutti gioivano. E, poi, ci sono quelli dell’altro lato della medaglia, i momenti in cui tornavi nello spogliatoio sentendoti giù, subendoti una ramanzina da parte del manager, sono quelli che mi tornano in mente più frequentemente di quelli in cui abbiamo festeggiato, in realtà. Ma abbiamo vissuto diversi momenti fantastici, perché questo è ciò che fai quando vinci una gara importante. Non vedi l’ora di tornare nello spogliatoio e di festeggiare insieme ai ragazzi.”

Questo kit blu adidas del 1992 ti riporta alla mente dei bei ricordi?
“Riporta alla mente bei ricordi perché questo fu il kit che indossai quando vinsi il mio primo trofeo; la League Cup contro il Nottingham Forest nel ’92. Credo che sia un po’ strano perché, se fosse stato rimesso in vendita 10 anni fa, le persone avrebbero pensato che fosse orribile, ma è qualcosa che è tornato di moda. Penso che ci stia bene addosso. Questa particolare maglia è speciale per me.”

Come hai utilizzato la tua esperienza da giocatore nei ruoli di preparatore e di manager?
“Quando ero il manager, fummo battuti dal Sunderland e pensai: ‘Non ho quello che mi serve, non ho chi possa eseguire determinati compiti, quindi troverò dei giocatori capaci di fare ciò che vorrei io’, e feci esordire James Wilson nella gara successiva, il quale segnò un paio di goal. Questa è semplicemente la mentalità del club, questa è la storia del club. Si dà sempre una chance ai giovani. Tutti hanno delle qualità, ma non sai mai cosa potrebbero fare in campo con la prima squadra. Alcuni svaniscono, ma la maggior parte delle volte esplodono perché raggiungono lo scopo che li ha portati a diventare dei calciatori: giocare in prima squadra. E, quella di arrivarci, è la parte più facile; quella più difficile è riuscire a rimanerci.”

Qual è il tuo ricordo più bello?
“Il miglior momento che io abbia mai vissuto in un campo di calcio è stato quando è arrivato il fischio finale al Camp Nou [nella finale di UEFA Champions League del 1999] e, infatti, piansi. È stata l’unica volta in cui ho pianto in un campo di calcio perché le emozioni presero il sopravvento.”

Marco Antonucci

Bio di Marco Antonucci

Presidente e caporedattore di Red Army Italy, tifoso del Manchester United dal Dicembre 2005.

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