Denis Law, leggenda del Manchester United negli anni ’60 e ’70, definisce il pubblico della più famosa tribuna dell’Old Trafford come il più speciale per il quale abbia mai giocato. L’ex bomber scozzese ricorda, inoltre, la sua esperienza in Italia al Torino e sottolinea le enormi differenze di comunicazione di quell’epoca rispetto ad oggi.
“La Stretford End, come sapete, è una parte molto famosa dello stadio del Manchester United e lo sarà sempre,” ha dichiarato il 72enne a ManUtd.com. “È incredibile poter giocare davanti un pubblico come quello, ti ispira a far bene.”
“Quei ragazzi, in particolare negli anni ’60, erano tutti ragazzi che lavoravano e pagavano per vederti giocare bene. Pensavo: ‘Ho la possibilità di fare del mio meglio e renderli felici, questa squadra è la loro vita come lo è anche per me’.
“C’era grande pressione su di me perché ero una grande firma. All’epoca era raro spendere certe cifre per un giocatore. Oggi, invece, le cifre di alloro le guadagnano in una sola settimana e girano molti più soldi attorno al calcio.”
“Fui molto fortunato perché sapevo della bravura di un manager come Sir Matt Busby, dato che aveva allenato la Scozia ed era il manager del Manchester United. Sapeva che tipo di giocatore ero e mi aiutò molto. Fu un po’ difficile ambientarmi all’inizio, ma mi sentivo bene dopo essermi ambientato e riuscì a giocare bene.”
La Juventus provò ad acquistare Law dai rivali cittadini del Torino, ma la mente del giocatore si concentrò interamente sull’Old Trafford una volta saputo dell’interesse di Busby.
“La Juventus mi voleva comprare dal Torino, ma io ho preso un aereo e sono tornato a casa!”, ricorda la leggenda dei Red Devils. “Ero nel Torino insieme a Joe Baker, che alla fine di quella stagione tornò anche lui nel Regno Unito insieme me e andò all’Arsenal. Quell’estate mi seguirono anche altri due britannici, uno era Jimmy Greaves e l’altro uno dei più forti di sempre: John Charles. C’erano un bel po’ di giocatori britannici in Italia all’epoca.”
“I mezzi di comunicazione sono cambiati moltissimo rispetto ad allora, oggi c’è internet e la differenza è abissale rispetto a quegli anni. Ormai, al giorno d’oggi, è come se non sentissi di vivere in un paese straniero. Questo è un bonus per i giocatori che vanno in altri campionati. Chi viene dal Brasile e dall’Argentina, per esempio, può parlare quando vuole con la propria famiglia. Invece, all’epoca, noi ci sentivamo molto isolati a Torino.”
Marco Antonucci